Rappresentazione artistica del rover Opportunity su Marte Crediti: NASA/JPL/Cornell University, Maas Digital LLC

Il 10 giugno ricorre un anniversario particolarmente significativo per l’esplorazione spaziale, perché segna sia l’inizio che il termine della missione “Mars Exploration Rover”, più conosciuta con i nomi dei suoi due protagonisti: Spirit e Opportunity! I due rover gemelli sono stati i primi veicoli veramente autonomi a esplorare un altro pianeta, in una missione la cui durata andò ben oltre le attese persino degli stessi progettisti, e i cui risultati straordinari hanno rivoluzionato la nostra comprensione del Pianeta Rosso.

La strada per Marte

Uno dei rover MER durante la sua costruzione al Jet Propulsion laboratory. Di fronte c’è il piccolo Sojourner: due generazioni di rover a confronto! Crediti: JPL/NASA

I primi a mettere un rover su un altro corpo celeste furono (neanche a dirlo) i sovietici con Lunokhod 1 (1970) e Lunokhod 2 (1973), missioni di grande successo che riuscirono a percorrere decine di km sulla superficie della Luna (39 km per Lunokhod 2!). Dopo di loro però il nulla per oltre 20 anni, fino al 1997, quando la missione americana Pathfinder atterrò su Marte. Insieme alla piattaforma di atterraggio c’era un piccolo rover chiamato Sojourner, uno scatolotto grande poco più di un microonde con un grosso pannello solare in cima, qualche telecamera e sei ruote indipendenti. Il roverino era poco più di un prototipo dimostrativo, in preparazione per il prossimo passo che la NASA pianificava di compiere: mandare su Marte due rover gemelli per rispondere ad alcune domande impellenti sul pianeta. Una su tutte, la presenza (passata e presente) di acqua.

Nacque così la missione MER (Mars Exploration Rover), che portò alla costruzione di due macchine identiche chiamate MER-A e MER-B. I due robot furono successivamente battezzati Spirit e Opportunity con un concorso aperto a tutte le scuole elementari statunitensi. Ciascun rover MER era un piccolo gioiello di scienza e tecnica, ottimizzato per produrre il massimo ritorno scientifico possibile con il minimo ingombro di volume e massa. Dopotutto lanciare le cose nello spazio costa, e molto, e questo vale specialmente per lo spazio profondo!

Fotografia scattata durante una prova di dispiegamento del lander protettivo del rover Opportunity, a sua volta ripiegato per stare all’interno dello spazio disponibile. Crediti: NASA/KSC

Ciascun rover aveva una massa di 185 kg e le dimensioni di una piccola utilitaria (2,3 x 1,6 x 1,5 metri). L’energia veniva fornita da una serie di pannelli solari da 140 Watt disposti in cima al rover, al fine di alimentare i sistemi e ricaricare le batterie di bordo. Il carico più importante era ovviamente costituito dagli strumenti scientifici di cui nove fotocamere (panoramiche, di navigazione e scientifiche) e un braccio robotico dotato di quattro strumenti: microscopio, trapano abrasivo e due spettrometri di tipo diverso.

Se progettare un rover marziano è già una sfida di per sé, ancora più difficile però è farlo arrivare sano e salvo (e nel luogo giusto) sulla superficie del pianeta che deve studiare. Spostarsi tra pianeti diversi significa doversi muovere ad alta velocità, e questo è un problema quando si tratta di atterrare! La soluzione scelta dalla NASA è quantomeno curiosa, ma già testata con la missione Pathfinder: un lander con degli airbag!

Opportunity pronto a partire per Marte! Lo scudo termico è in alto, in mezzo si vede il cono bianco dell’aeroshell, in basso lo stadio di crociera. Crediti: NASA/KSC

Ciascun rover venne quindi incapsulato in una struttura rigida tetraedrica, formata da una base e tre “petali” triangolari: appunto il lander. Su ciascun lato il lander possedeva una serie di airbag sferoidali da gonfiarsi sul momento. Il tutto infine era contenuto nel guscio aerodinamico (aeroshell), provvisto di scudo termico e di una copertura posteriore per proteggere il rover durante la discesa iniziale, a cui infine venne aggiunto un paracadute.

Un rover però non può andare su Marte da solo, ma ha bisogno di una navicella spaziale. Ecco quindi che l’aeroshell di Spirit e Opportunity venne agganciato a uno stadio di crociera, il cui compito era guidare i rover durante il loro transito interplanetario. Questo componente conteneva i propulsori per le manovre correttive, un sistema per la navigazione e uno per la comunicazione con la Terra.

Finalmente dopo anni di progettazione, costruzione e test, i due rover furono pronti per il lancio verso Marte. Il primo a partire fu Spirit, che il 10 giugno del 2003 (esattamente vent’anni fa!) si sollevò dalla sua rampa di lancio a Cape Canaveral in cima a un razzo Delta II. Un mese dopo, il 7 luglio, partiva anche Opportunity, all’inseguimento del gemello. La missione era ufficialmente iniziata!

Due esploratori inarrestabili

L’arrivo su Marte avvenne circa sei mesi più tardi. Il primo ad “ammartare” fu il primo a partire, Spirit, il 4 gennaio del 2004. Venti giorni dopo fu la volta di Opportunity. La sequenza di atterraggio fu totalmente automatica, in quanto la distanza di Marte impediva agli scienziati di intervenire e risolvere eventuali problemi in tempo reale! Nel giro di pochi minuti il rover passò dal viaggiare a velocità di crociera interplanetaria (oltre 100.000 km/h!) a ritrovarsi sano e salvo, e immobile, sulla superficie di Marte.

La sequenza iniziò con la separazione dallo stadio di crociera e l’ingresso nell’atmosfera marziana del rover rinchiuso nel suo lander e nell’aeroshell. In questa fase fu vitale lo scudo termico, che evitò al rover di disintegrarsi a causa delle temperature e velocità estreme. Una volta rallentato sotto i circa 500 km/h lo scudo termico e l’aeroshell vennero scartati, permettendo l’apertura del paracadute. L’atmosfera marziana però è troppo sottile per permettere a un qualsiasi paracadute di arrestare a sufficienza la discesa di un oggetto così massiccio come il lander dei MER (che aveva una massa complessiva di oltre 800 kg). A pochi metri dalla superficie il paracadute venne quindi sganciato, in favore dell’accensione di alcuni retrorazzi. Contemporaneamente, si gonfiarono gli airbag e dopo pochi istanti il tutto colpì la superficie di Marte, cominciando a rotolare a oltre 100 km/h.

Il lander di Spirit su Marte, fotografato dal rover stesso 16 sol dopo il suo arrivo. Questo componente non aveva funzioni scientifiche o sistemi autonomi, e venne abbandonato nei giorni successivi. Crediti: NASA/JPL

Immagine ravvicinata dei “mirtilli” marziani, cioè noduli di ematite grandi pochi millimetri. La loro presenza è un forte indizio a favore della presenza di acqua liquida sulla superficie di Marte in tempi remoti.
Crediti: NASA/JPL-Caltech/Cornell/USGS

Terminato di ruzzolare sulla superficie, iniziò la parte meccanicamente più critica. Gli airbag vennero sgonfiati e ritratti nel lander, che cominciò quindi ad aprire i propri petali e le rampe per la discesa del rover. Una volta completata questa fase, il peggio era passato, e i rover erano al sicuro su Marte! Nei quattro giorni marziani (detti “sol”) successivi, Spirit e Opportunity eseguirono una serie di controlli di routine dei sistemi, dispiegarono i vari apparati e strumenti (come i petali dei pannelli solari, l’asta delle telecamere e il braccio degli strumenti scientifici) e finalmente si avventurarono sul suolo marziano.

La missione era tutto sommato semplice: Spirit (atterrato nel cratere Gusev, sull’equatore marziano) e Opportunity (atterrato nella Meridiani Planum, sempre sull’equatore ma dall’altro lato del pianeta) dovevano studiare la composizione e la storia della superficie marziana, stabilendo l’eventuale presenza di acqua liquida nel passato del pianeta o di ghiaccio sotterraneo contemporaneo, quali processi geologici erano all’opera e come si era evoluto (almeno, localmente) il Pianeta Rosso. Tempo preventivato per le operazioni: 90 sol. Non di più, perché poi la deposizione costante e inevitabile della polvere marziana sui pannelli solari li avrebbe resi inefficienti e incapaci di mantenere attivi i rover.

Solo che l’obiettivo dei 90 sol venne raggiunto e superato. Si scoprì che occasionalmente il vento marziano riusciva a ripulire i pannelli, garantendo il proseguimento dell’esplorazione. I due rover finirono per vivere MOLTO più a lungo delle attese: alla fine Spirit funzionò per 2208 sol (tre anni marziani), mentre Opportunity raggiunse addirittura i 5352 sol (otto anni marziani completi)! Oltre 60 volte più a lungo delle attese, in quella che è senza dubbio la missione di più grande successo mai realizzata in esplorazione planetaria. Il finanziamento venne esteso per ben cinque volte, fino a diventare praticamente a tempo indefinito, e tutti gli obiettivi scientifici vennero raggiunti.

La missione dimostrò senza ombra di dubbio che su Marte era esistita a un certo punto dell’acqua liquida, grazie alla presenza di minerali che possono formarsi solo in tali condizioni (come i “mirtillidi ematite scoperti da Opportunity), che svariati processi geologici di erosione e alterazione delle rocce erano ancora attivi, e diede una panoramica della composizione delle rocce marziane nelle zone di atterraggio dei due rover. Lo studio del cratere Endeavour, raggiunto sul finire della missione di Opportunity, mostrò anche la presenza di rocce sedimentarie e di argille, ulteriore indizio sulla presenza di acqua antica.

Il pianeta della polvere

La grande nemica di tutta la missione era ovviamente lei: la polvere marziana. Una cipria finissima (tra i 3 e i 30 micrometri) composta da roccia in polvere, ossido di ferro e sali tossici, come il perclorato di calcio. Una pioggia continua che ricopre lentamente ogni cosa, e che si pensava avrebbe reso i pannelli solari inutili e ucciso entrambi i rover nel giro di 90 giorni. Fortunatamente non è stato così, ma il vento da amico può diventare una minaccia terribile: periodicamente Marte attraversa periodi di intensa attività meteorologica, in cui venti intensi sollevano gigantesche tempeste di polvere, in grado di avvolgere l’intero pianeta. E di nascondere il Sole per settimane.

Animazione che mostra i pannelli del lander InSight all’inizio e al termine della sua missione, causata dalla troppa polvere accumulata su di essi Crediti: NASA/JPL-Caltech

Il rover Spirit fotografato dall’orbita, nel luogo dove rimase bloccato e dove infine non riuscì a superare il suo terzo inverno marziano Crediti: NASA/JPL-Caltech/University of Arizona

La prima grande tempesta affrontata dai due rover, nel 2007, fu quasi la fine per entrambi. La polvere sollevata fu tale che le loro celle solari non furono più in grado di produrre sufficiente energia da mantenere attivo il riscaldamento dei rover. Questo è pericoloso perché se le temperature delle elettroniche scendono sotto una certa soglia, e lo fanno per troppo tempo, c’è il rischio di incorrere in danni irreparabili. Grazie a una serie di soluzioni temporanee, e alla clemenza del pianeta, entrambi sopravvissero senza drammi a questa prova.

Anche l’inverno marziano non perdona. Entrambi i rover erano nei pressi dell’equatore, e quindi non dovevano preoccuparsi di affrontare notti molto lunghe. Tuttavia Marte è un pianeta freddo, e anche all’equatore le temperature possono scendere molto. Per superare l’inverno marziano i rover venivano parcheggiati su dei pendii, in modo che i loro pannelli fossero rivolti il più possibile verso il Sole, e tutti i sistemi non necessari venivano spenti. In tal modo c’era sufficiente energia per mantenere attivo il riscaldamento e cariche le batterie.

Il primo vero acciacco alla missione accadde a Spirit. Il 1° maggio del 2009 il rover si incagliò in una trappola di sabbia molto fine, da cui non riuscì più a liberarsi. Dopo svariati mesi di tentativi la NASA rinunciò a liberarlo e lo trasformò in una piattaforma scientifica statica. L’inverno marziano però era in arrivo, e Spirit non era posizionato in modo ottimale per garantire la ricarica delle batterie. Ogni tentativo di riposizionamento fallì, e infine il rover smise di comunicare il 22 marzo del 2010. I tentativi di contatto proseguirono per oltre un anno (nel caso in cui il ritorno della primavera avesse permesso la ricarica delle batterie e il risveglio del rover), ma alla fine la NASA dichiarò conclusa la missione. Spirit aveva funzionato per oltre 2200 giorni marziani, percorrendo 7,7 km.

L’unico selfie mai realizzato dal rover Opportunity. Al contrario di Curiosity e Perseverance, che ci hanno abituato a questo tipo di immagini, Oppy e Spirit non erano equipaggiate con una fotocamera in cima al loro braccio robotico, e quindi non potevano scattare mosaici simili. Finché i ricercatori non ebbero un idea, e provarono a farlo usando il microscopio: il risultato è un’immagine inevitabilmente fuori fuoco, ma che mostra la figura inconfondibile del rover più tosto che abbia mai calcato il suolo marziano. Crediti: NASA/JPL-Caltech

La fine di Opportunity invece non fu per l’inverno, ma per una nuova tempesta di polvere globale. Nel corso della primavera (terrestre) del 2018, Marte venne colpito da una nuova serie di tempeste di polvere, più intense e spesse del 2007, che rapidamente avvolsero interamente il pianeta. La quantità di luce solare che riusciva a raggiungere i pannelli del rover era così poca da essere confrontabile a una notte perenne, rendendo impossibile la ricarica delle batterie e la manutenzione della temperatura minima di sicurezza per le elettroniche. Opportunity poi non era più un rover giovane: oltre agli acciacchi di memoria e locomozione, anche le batterie ormai avevano oltre 15 anni.

Il 10 giugno del 2018, 15 anni dopo la partenza del gemello Spirit dalla Terra, venne ricevuto l’ultimo segnale da Opportunity, comunicato dalla NASA al pubblico con una frase particolarmente d’effetto: “la mia batteria è scarica, e fa sempre più buio”. La tempesta si calmò solo quattro mesi più tardi, a ottobre, e come con Spirit la NASA tentò per svariati mesi di ricontattare il rover, nel caso miracoloso fosse sopravvissuto. Come ormai sappiamo, non ci riuscì, e il 13 febbraio del 2019 venne annunciata la fine della missione. Opportunity aveva infine percorso 45,16 km, più del Lunokhod 2 e la più lunga distanza mai percorsa sulla superficie di un mondo alieno al nostro.

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