Uno dei selfie panoramici più recenti scattati dal rover, durante le operazioni di studio di un affioramento stratificato noto come monte Mercou Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS/Kevin M. Gill *

Il rover Curiosity

Un laboratorio su Marte

Il 6 agosto del 2012, esattamente 11 anni fa, iniziava la missione del MSL, il Mars Science Laboratory (conosciuto ai più come Curiosity). Si tratta del macchinario più complesso mai lanciato nello spazio, superato solo nel 2020 dal gemello aggiornato Perseverance, ed è da allora che produce risultati scientifici di prima qualità. Curiosity ha studiato a fondo la geologia marziana e la sua storia, rivelando un mondo molto diverso da quanto inteso fino a quel momento.

La strada per Marte

Riproduzione della sonda Mariner 4, la prima a sorvolare con successo Marte. Crediti: NASA

Curiosity è l’erede di una lunga serie di missioni scientifiche su Marte, iniziate negli anni ‘60 con la Corsa allo Spazio. All’epoca Unione Sovietica e Stati Uniti d’America erano avvinghiati in una serratissima competizione tecnologica. I sovietici stavano ottenendo un successo dietro l’altro, facendo mangiare la polvere agli americani. Ma fu proprio con la polvere marziana che la situazione si invertì.

Il primo tentativo di raggiungere Marte fu fatto proprio dai russi, che videro entrambe le sonde gemelle Mars 1960A e B esplodere al lancio. Similmente i tre tentativi del 1962. Furono quindi gli americani, nel 1964, a eseguire il primo sorvolo del pianeta con la sonda Mariner 4. Nel 1969 altre due sonde sovietiche fallirono, mentre quelle americane Mariner 6 e 7 eseguirono il sorvolo con successo.

Marte come apparve agli occhi di Mariner 9, Mars 2 e Mars 3. Totalmente avvolto dalla polvere e senza dettagli, fatta eccezione per gli immensi vulcani del Tharsis. Crediti: NASA

Nel 1971 altro smacco: gli americani furono i primi a entrare in orbita marziana con Mariner 9, battendo di pochi giorni le sovietiche Mars 2 e 3. Le due sonde russe però erano dotate ciascuna di un piccolo lander. Quello di Mars 2 si schiantò miseramente, ma quello di Mars 3 riuscì a raggiungere con successo il suolo: fu la prima sonda a trasmettere dalla superficie marziana… per 15 secondi, poi si spense. Tanto per aggiungere danno alla beffa, le sonde erano arrivate proprio durante una delle peggiori tempeste globali di polvere mai osservate, e dallo spazio Marte appariva totalmente privo di dettagli.

Nel 1973 i sovietici lanciano altre quattro sonde (Mars 4-7), ma solo Mars 5 riuscì a entrare in orbita e funzionare per circa nove giorni. A questo punto, rinunciarono a Marte e si concentrarono sul pianeta che più aveva dato loro soddisfazione: Venere. Gli americani avevano campo libero, e ne approfittarono subito.

Le sonde successive furono infatti due gemelle: Viking 1 e 2, ciascuna dotata di orbiter e lander. Al contrario delle Mariner avevano obiettivi molto più ambiziosi e meno dimostrativi, che avrebbero richiesto una lunga permanenza sulla superficie di Marte. Per tale motivo furono equipaggiate con una batteria speciale: pellet nucleari di plutonio-238! In tal modo potevano produrre energie per lunghi periodo di tempo, senza dipendere dalla luce solare.

Il primo panorama marziano mai ottenuto, scattato dalla sonda Viking 1 il giorno del suo atterraggio. Crediti: NASA/JPL

Entrambe le Viking furono un successo epocale. Viking 2 trasmise dati per un anno, mentre la Viking 1 per oltre sei. Gli orbiter produssero la prima vera mappa globale di Marte, e i lander diedero la prima occhiata alla storia del pianeta, alla sua geologia e al suo clima. Tuttavia si può fare ben poco se non sei libero di muoverti, motivo per cui il passo successivo fu… mettere le ruote!

Il piccolo Sojourner fotografato da Pathfinder, colto mentre era intento ad affrontare una roccia troppo grossa per lui. Crediti: NASA

Siamo al 1997, dopo una pausa di circa 20 anni in cui Marte finì un po’ in secondo piano. Gli USA avevano appena piazzato in orbita il Mars Global Surveyor, una versione potenziata degli orbiter delle Viking, in preparazione del piatto forte: Mars Pathfinder. Una sonda lander, per certi versi più semplice delle Viking e senza generatore nucleare, ma con un ospite importante: il rover Sojourner! Dotato di sei ruote e un po’ più grosso di un microonde, dimostrò che su Marte si poteva tranquillamente andare in giro a far scienza. L’intera missione durò tre mesi, molto più delle intenzioni iniziali, semplicemente dimostrative. La strada era ormai spianata per i Mars Exploration Rover, Spirit e Opportunity, di cui abbiamo recentemente festeggiato il ventennale.

Il successo strepitoso delle sonde Viking e dei due rover MER spinse la NASA verso il passo successivo, una missione che unisse i punti di forza di queste sonde marziane: una batteria nucleare per durare indefinitamente (e non dipendere dai capricci del meteo e dell’inverno come i MER) e un set di ruote per portare un importante set di strumenti scientifici in giro sul pianeta rosso. Era il momento di Curiosity!

Sette minuti di terrore

Il Mars Exploration Laboratory, Curiosity appunto, era qualcosa di incredibilmente ambizioso. Costruendo sull’esperienza di tutte le missioni precedenti, la NASA aveva progettato e costruito un rover grande come un’utilitaria e con una massa di nove quintali, dotato di sei ruote indipendenti, due computer ridondanti, un termogeneratore nucleare a radioisotopi con 4,8 kg di plutionio-238 e uno stuolo impressionante di strumentazione scientifica.

Diagramma che mostra Curiosity e la strumentazione di cui è dotata Crediti: NASA/JPL

Curiosity è infatti dotata di ben 17 telecamere, in grado di fare quasi tutto dalle panoramiche alla microscopia, una stazione meteo, spettrometri ai raggi X, una piccola suite per l’analisi chimica delle rocce polverizzate da un trapano, e persino uno spazzolino per togliere la polvere dalla superficie delle rocce. Alcuni sono montati sul rover stesso, altri in cima a un braccio robotico lungo due metri in grado di manovrare con notevole libertà di movimento. È grazie a questo braccio e alla fotocamera in cima ad esso che possiamo realizzare dei selfie panoramici dell’intero macchinario!

Tutto questo per rispondere a otto domande fondamentali su Marte, delle quali una su tutte era la più pressante: Marte aveva mai posseduto le condizioni per ospitare la vita? Grazie ai MER e alle osservazioni dall’orbita si sapeva che il pianeta aveva sicuramente posseduto molta acqua liquida in passato, forse persino un oceano, e questo rendeva la domanda particolarmente pressante. Non era come Mercurio, un deserto flagellato dal Sole fin dalla sua nascita, o Venere, strangolato da un’atmosfera impenetrabile. Marte era così terrestre come aspetto, nonostante si presentasse oggi ai nostri occhi come un deserto gelido.

Ricostruzione tridimensionale del cratere Gale usando dati dall’orbita, con evidenziata l’ellisse di atterraggio prevista per Curiosity ai piedi del monte Sharp.
Crediti: NASA/JPL-Caltech/ESA/DLR/FU Berlin/MSSS

Rispondere a una domanda così importante richiedeva anche trovare un luogo opportuno in cui atterrare. Non sarebbe valso a nulla andare su Marte con un rover armato di scienza fino ai denti e finire per esplorare un’anonima lastra di basalto interminabile in una delle vaste provincie vulcaniche del pianeta. Venne quindi scelto il cratere Gale, un sito d’impatto antico di circa 3,8 miliardi di anni e ampio 154 km. Al contrario di moltissimi altri crateri marziani praticamente anonimi, Gale mostra infatti una struttura particolare: ospita al suo centro il monte Sharp (o Aeolis Mons), alto oltre 5500 metri. Osservazioni dall’orbita mostravano che questa non era una montagna qualsiasi, ma un gigantesco cumulo di sedimenti formatosi nel corso di due miliardi di anni (forse anche grazie all’acqua), e poi gradualmente eroso dai venti marziani. Lì il rover avrebbe avuto la possibilità di sfogliare, letteralmente, la storia marziana, risalendo la montagna strato dopo strato, eone dopo eone.

Il problema a questo punto però erano le dimensioni di Curiosity. Con una massa di 900 kg il rover era semplicemente troppo grande per atterrare come avevano fatto i MER e Pathfinder, cioè usando un sistema di airbag. Le Viking avevano usato dei retrorazzi, ma questo aggiungeva molta massa tra propulsori e serbatoi, che avrebbe impacciato troppo i movimenti del rover, e soprattutto avrebbe potuto dislocare molto materiale dalla superficie col rischio di danneggiare Curiosity.

Schema che mostra l’intera sequenza di atterraggio di Curiosity, nota come “i sette minuti di terrore”
Crediti: NASA/JPL-Caltech

La soluzione adottata rimane forse una delle cose più folli e incredibili mai realizzate in esplorazione spaziale: lo Skycrane, la gru celeste. Curiosity avrebbe rallentato inizialmente usando uno scudo termico e poi un paracadute, come tutte le altre missioni marziane che mai abbiano tentato un atterraggio. Dopotutto se hai un’atmosfera a disposizione perché non usarla per rallentare la tua sonda? Il paracadute però non bastava a rallentare a sufficienza, e quindi a una quota di 1,8 km il rover e lo skycrane si sarebbero sganciati da quello che rimaneva del guscio protettivo che li aveva custoditi durante la crociera interplanetaria e il rientro atmosferico.

Rendering artistico che mostra lo skycrane in funzione. La stessa manovra sarà poi eseguita anche con Perseverance, dotata di una telecamera che mostrerà l’intera sequenza dal vivo.
Crediti: NASA/JPL-Caltech

Dopo una breve caduta libera, lo skycrane avrebbe acceso i propri retrorazzi, simili a quelli delle missioni Viking, e calato il rover con tre cavi di nylon lunghi 7,5 metri. Una volta che il rover era stato adagiato delicatamente sulla superficie marziana, i cavi sarebbero stati tagliati e lo skycrane si sarebbe schiantato a distanza di sicurezza. Una manovra mai tentata, e soprattutto su cui i tecnici non avevano alcun controllo: questo perché l’intera sequenza di rientro, discesa e atterraggio (EDL, Entry Descent and Landing) avrebbe richiesto circa sette minuti, tanto quanto il ritardo-luce delle telecomunicazioni con il pianeta. Il rover era da solo, e avrebbe dovuto compiere la delicata manovra in totale autonomia. Sette minuti di terrore, per l’appunto.

Il 6 agosto del 2012, alle 7:17 italiane, Curiosity toccò la superficie marziana con successo, iniziando la sua lunga missione esplorativa.

Un decennio di scienza

Una volta su Marte, Curiosity mise subito all’opera il suo arsenale scientifico. Il cratere Gale era stato scelto proprio perché mostrava i segni di un antico lago, del quale il monte Sharp custodiva la storia e i sedimenti. Il rover si trovava nella grande pianura ai piedi della montagna, in quelli che sarebbero quindi dovuti essere gli strati più antichi.

Il primo selfie della storia dalla superficie di Marte! 7 settembre 2012
Crediti: NASA/JPL-Caltech/Malin Space Science Systems Derivative work including colour correction, correction of dark areas and vignette, denoising: Julian Herzog

Iniziò quindi la lunga scalata della storia marziana. Neanche un mese dopo l’inizio della missione Curiosity trovò le tracce di quello che un tempo era stato il letto di un torrentello. Dalla dimensione dei ciottoli fu possibile pure stabilirne la portata e la velocità! La sua zona di atterraggio era infatti andata a situarsi sui bordi di quello che sembra un delta alluvionale, generato da un corso d’acqua che entrava nel cratere. Le rocce erano delle olivine tipiche delle rocce vulcaniche, ma mostravano segni di alterazione compatibili con la presenza in antichità di acqua liquida. Le prime analisi chimiche delle rocce superficiali confermarono infatti la presenza anche di argille, e di composti chimici compatibili con un ambiente favorevole alla vita.

Collage che mostra i 36 siti in cui il trapano di cui il trapano di Curiosity ha eseguito campionamenti delle rocce superficiali, rivelando arenarie e argille tipiche di ambienti lacustri.
Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Curiosity eseguì anche accurate misurazioni della composizione atmosferica, dalle quali risultò che Marte aveva perso gran parte del suo involucro gassoso negli ultimi miliardi di anni. In pratica tutto puntava verso una storia ben diversa dal pianeta disseccato e nato morto che dominava la narrazione marziana, anche fantascientifica. Marte in passato aveva sicuramente posseduto un’atmosfera significativa, una grande quantità di acqua che sembrava persino essere presente in forma liquida sulla sua superficie, e persino un campo magnetico globale. Era stato il raffreddamento del pianeta (avvenuto più rapidamente della Terra perché più piccolino) a spegnere tale campo magnetico, e a lasciare l’atmosfera marziana esposta direttamente all’erosione generata dal vento solare. Nel corso dell’intera missione verranno misurati svariati picchi temporanei di concentrazione di metano nell’atmosfera marziana. Siccome Marte non possiede processi noti che possano generare tale gas, e lo perde molto in fretta nello spazio, la sua presenza e variazione rimane oggi un mistero irrisolto.

Meravigliosa panoramica del cratere Gale scattata da Curiosity durante la sua ascesa al monte Sharp. In quella pianura ai piedi del bordo del cratere un tempo si estendeva un vasto lago salato. Crediti: NASA/JPL-Caltech

La base del monte Sharp venne infine raggiunta dopo due anni di lavoro, a settembre 2014. Finalmente Curiosity cominciò a sfogliare il libro della storia marziana, perché abbandonò i sedimenti depositati intorno alla base del monte e cominciò a risalirne le pendici. Fu un compito non facile, perché il terreno si rivelò molto più accidentato del previsto, costringendo il rover a guidare con grande cautela, e molto più aggressivo sulle sue ruote di titanio e alluminio, che cominciarono a mostrare preoccupanti segni di usura e cedimento. Vennero quindi adottate nuove strategie di spostamento, per minimizzare tale usura e continuare l’ascesa.

Fotografia diagnostica che mostra il preoccupante stato di degradazione delle ruote del rover nel 2018. Dopo che il JPL si accorse del problema venne cambiata la strategia di guida, migliorando di molto la situazione.
Crediti: NASA/JPL-Caltech

Più il rover saliva, più gli indizi si moltiplicavano a favore dell’ipotesi dell’antico lago. Il cratere Gale era stato riempito in antichità da un lago salato stratificato, contenente tutti i composti chimici e le condizioni che qui sulla Terra avrebbero permesso la sopravvivenza di batteri estremofili. Come bonus, Curiosity ha persino eseguito osservazioni astronomiche dalla superficie marziana, testimoniando svariate eclissi di Sole da parte delle lune marziane e fotografando la Terra e la Luna. Persino un transito di Mercurio!

Attualmente Curiosity si trova nella sua quarta estensione di missione, che dovrebbe durare fino al 2025, e ha guidato per oltre 30 km. Sembra molto, ma c’è ancora tantissimo da esplorare, e le pendici più ripide del monte Sharp sono proprio di fronte a questa fantastica macchina, che ha ancora tantissimo da scoprire!

Breve timelapse che mostra un eclissi di Sole marziana, generata dal passaggio di Phobos di fronte al disco solare. Crediti: NASA/JPL-Caltech

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