Crediti: NASA/Crew of STS-132

Buon compleanno, ISS!

Novembre è un mese importante per il più grande satellite artificiale mai costruito: la Stazione Spaziale Internazionale! In questo mese cadono infatti gli anniversari di due degli eventi più importanti della sua storia, ormai trentennale: il lancio del primo modulo, avvenuto il 20 novembre 1998, e l’inizio della sua occupazione ininterrotta, il 2 novembre 2000!

La corsa allo Spazio

Le radici della storia della Stazione Spaziale Internazionale (ISS in breve, dal suo acronimo inglese) affondano nel ventesimo secolo, e in particolare nel conflitto che ha visto contrapposti per oltre 30 anni i paesi del blocco occidentale (orbitanti intorno agli USA) e del blocco orientale (capitanati dall’URSS). I due blocchi non sono mai entrati apertamente in guerra l’uno contro l’altro, ma hanno minacciato di farlo per decenni. L’arma usata per tale minaccia era ovviamente la bomba termonucleare, e in particolare il missile intercontinentale. USA e URSS si dotarono di decine di migliaia di tali missili ciascuno, in modo da assicurare il mutuo annientamento totale come rappresaglia a un primo attacco.

Saper guidare un missile balistico intercontinentale con una precisione tale da farlo cadere esattamente su una città nemica richiede però tecnologie molto avanzate, in grado anche di permettere l’esplorazione dello spazio. Ed ecco quindi che i due blocchi si trovarono coinvolti in una competizione serratissima per dimostrare chi aveva i razzi più potenti, più precisi, le sonde più resistenti e affidabili, e gli astronauti più addestrati: la Corsa allo Spazio.

Un missile balistico intercontinentale nucleare “Peacekeeper” lanciato da un silo. Alla fine i razzi spaziali sono missili nucleari senza testata e lanciati verso la Luna invece che una città terrestre. Crediti: USAF/Autore sconosciuto

La Corsa allo Spazio ha prodotto le missioni e i programmi di esplorazione più gloriosi mai tentati dell’umanità. Abbiamo già parlato infatti delle punte di diamante di quest’epoca d’oro dell’esplorazione spaziale: il programma Venera, le missioni Pioneer e Voyager, in parte la sonda Galileo e il telescopio Hubble, e poi ovviamente il programma Apollo e la conquista della Luna.

C’è un altro ambito però su cui la Corsa allo Spazio si è concentrata, molto più vicino e meno interplanetario: lo spazio intorno alla Terra, la cosiddetta orbita bassa. La sfida era riuscire ad abitare a lungo in orbita, invece di andare nello spazio mordi-e-fuggi per delle semplici missioni dimostrative. E in tale sfida, furono nuovamente i sovietici a brillare, lanciando nel 1971 la prima stazione spaziale vera e propria: si chiamava Saljut 1 (Салют, saluto), e ospitò a bordo per ben 24 giorni i tre cosmonauti della capsula Sojuz 11, stabilendo un nuovo record. Purtroppo la missione terminò in disastro, perché i tre cosmonauti morirono durante il rientro atmosferico. Al momento della separazione di uno dei moduli della Sojuz si aprì una valvola di compensazione atmosferica, a ben 168 km di quota invece dei 5 km intesi. La cabina si depressurizzò, causando la morte per asfissia di Georgij Dobrovol’skij, Viktor Patsayev e Vladislav Volkov. Al giorno d’oggi sono gli unici esseri umani deceduti al di sopra della linea di Karman, nello spazio. Nonostante la triste fine della Sojuz 11, la missione della Saljut 1 era stata un successo assoluto, e i sovietici avevano ancora una volta battuto gli statunitensi. Negli anni successivi furono quindi tentati i lanci di altre due stazioni, che però fallirono entrambi.

Francobollo con i volti dei tre cosmonauti della missione Soyuz 11, gli unici a essere mai morti nello spazio. Crediti: USSR Post

Finalmente gli USA entrarono in campo a maggio 1973, con il lancio dello Skylab. La stazione venne messa in orbita usando un Saturn V rimasto inutilizzato dopo la cancellazione del programma Apollo, privato del terzo stadio (sostituito interamente proprio dalla stazione). Il lancio fu alquanto rocambolesco, perché lo Skylab perse lo scudo per i micrometeoriti e per la radiazione solare, che staccandosi strappò via uno dei due pannelli solari e bloccò l’altro. La stazione rimase quindi storpiata, e il suo fallimento venne evitato solo dalla missione con equipaggio Skylab 2, che con una serie di attività extraveicolari riuscì a disincastrare il pannello solare acciaccato e a installare uno scudo solare di fortuna. In totale, Skylab fu visitato da tre missioni, tra maggio 1973 e febbraio 1974, che durarono rispettivamente 28, 60 e 84 giorni, stabilendo nuovi record.

Lo Skylab fotografato dall’ultima missione che lo ha visitato, con ben visibili i danni arrecati dal lancio.
Crediti: NASA

L’URSS però non stette a guardare, e a dicembre 1974 lanciò Saljut 4, un copia di quella che sarebbe dovuta essere Saljut 3. Anche i sovietici dimostrarono quindi di poter visitare una stazione con più missioni, Sojuz 17 e 18, e di poterci rimanere a lungo (permanenze di 30 e 63 giorni). Qualche mese prima era anche stata lanciata un’altra stazione, formalmente etichettata come Saljut 3 per nasconderne la natura militare (era infatti una stazione di tipo Almaz, ben diversa). E poi gli americani semplicemente lasciarono campo libero ai sovietici. Skylab non venne mai più visitato, e nel 1979 si distrusse incontrollatamente nell’atmosfera terrestre. Il programma Shuttle aveva assorbito totalmente l’attenzione della NASA.

Nel 1976 i russi lanciarono Saljut 5 (un’altra stazione Almaz in incognito), e nel 1977 un nuovo gioiello: Saljut 6, la prima stazione spaziale in un senso moderno del termine. Rimase in orbita per quasi cinque anni, e venne occupata per 683 giorni totali da 16 equipaggi, alcuni dei quali stabilirono nuovi record di permanenza: 184 giorni per i membri della Sojuz 34! La stazione era in grado di ospitare due capsule contemporaneamente, che fossero due Sojuz, o una Sojuz e una capsula robotica per i rifornimenti, chiamata Progress. Tre mesi prima del rientro in atmosfera dell’obsolescente Saljut 6 venne lanciata una stazione gemella, Saljut 7. Un’altra detentrice di record: quasi nove anni in orbita, occupata per 816 giorni totali da dieci missioni, delle quali una infranse nuovam

La fine della Guerra Fredda

Il passo successivo fu molto, molto ambizioso. Verificata e testata approfonditamente la capacità di agganciare più navicelle tra di loro nello spazio, era naturale giungere all’idea della stazione spaziale modulare. Qualcosa di molto più grosso di una Saljut o dello Skylab, composto da più pezzi lanciati separatamente e assemblati nello spazio. Ecco quindi Saljut 8, che però conosciamo con un altro nome: Mir (Мир, pace), la prima stazione modulare della storia. Il suo progetto venne approvato nel 1976, ma servirono quasi dieci anni per la messa in esecuzione.

Il primo modulo della Mir era in tutto e per tutto una Saljut, modificata per essere più spaziosa e confortevole al suo interno, visto che molti degli strumenti che prima ospitava ora potevano essere collocati nei moduli aggiuntivi. Fu lanciata a febbraio del 1986, e ricevette il primo equipaggio a marzo di quell’anno, a bordo della Sojuz T-15. Questa è una missione molto famosa, perché fu la prima (e per ora unica) missione a visitare ben due stazioni spaziali! L’equipaggio della Sojuz T-15 infatti, dopo aver attivato la Mir e averci abitato per 51 giorni, si trasferì per un’altra cinquantina di giorni sulla Saljut 7, dove smontò alcuni strumenti e apparati da trasferire sulla Mir. Poi tornò a bordo della Mir, dove trasferì il prezioso carico. La Saljut 7 venne messa su un’orbita parcheggio, e poi dimenticata, fino al suo rientro in atmosfera nel 1991.

Tra il 1986 e il 1990 vennero lanciati i tre moduli successivi (Kvant-1, Kvant-2 e Kristall) e iniziarono anche le visite da parte di non sovietici. I primi furono cittadini di stati appartenenti all’area di influenza sovietica, ma nel 1988 ci fu una vera svolta, con la visita di un francese: Jean-Loup Chrétien (già stato sulla Saljut 7 nel 1982). Dopodiché gli ospiti internazionali aumentarono rapidamente, e alla fine la stazione fu visitata in totale da 104 persone provenienti da 12 nazioni del mondo.

Schema di assemblaggio della Mir, con i vari moduli colorati in maniera differente per evidenziarli.
Crediti: Orionist, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons*

Il nome della stazione fu profetico, perché fu proprio durante l’esistenza della Mir che terminò la Guerra Fredda (con il collasso dell’URSS) e la corsa allo spazio si trasformò in una lunga e fruttuosa collaborazione internazionale. Negli anni ‘80 gli Stati Uniti si stavano gingillando con l’idea di costruire anche loro una stazione spaziale modulare, la Freedom, mentre i sovietici stavano progettando la Mir-2 per rimpiazzare la prima quando questa fosse stata troppo vecchia. Il collasso dell’URSS mise termine a entrambi i progetti: la Mir-2 per la crisi economica, la Freedom perché vista come inutile con la fine della corsa allo spazio.

In questa situazione nacque nel 1993 nacque il programma Shuttle-Mir, il cui scopo era portare astronauti americani dello Space Shuttle a bordo della Mir. In tal modo gli USA potevano imparare dai russi e recuperare il tempo perso, e le due nazioni potevano collaborare a creare la prossima grande stazione spaziale, che sarebbe stata altrimenti impossibile per le finanze dei singoli partecipanti. Una stazione spaziale internazionale! Una volta che questa fosse stata operativa l’ormai anziana Mir avrebbe esaurito il suo compito, e sarebbe stata deorbitata come le Saljut prima di lei. Nel frattempo vennero costruiti e lanciati gli ultimi due moduli, Spektr e Priroda, portando il volume pressurizzato a ben 350 metri cubi (il quadruplo della Saljut 7), anche se abbastanza claustrofobico.

Alla fine la Mir rimase in orbita per oltre 15 anni, e fu occupata da esseri umani per 4592 giorni, l’83% del totale. Fu visitata da 28 spedizioni di lunga durata, la maggiore delle quali è quella di Valerij Poljakov, detentore imbattuto della più lunga permanenza ininterrotta nello spazio: 437 giorni!

Una nuova alba

Il 20 novembre del 1998, finalmente, decollò da Bajkonur il primo modulo di quella che sarebbe diventata la ISS: una versione moderna e all’avanguardia delle Saljut che venne chiamata Zarya (Заря, letteralmente alba). Due settimane dopo partì lo Space Shuttle Endeavour con a bordo il primo modulo americano, Unity: l’attracco dei due moduli diede vita al nucleo della ISS. Il 10 dicembre gli astronauti entrarono per la prima volta nella stazione, attivandone i sistemi e controllando il funzionamento dell’intera struttura.

Il rendez-vous dei primi due moduli della ISS: Zarya sullo sfondo della Terra, Unity in primo piano. Crediti: NASA

Per i due anni successivi la ISS rimase in attesa, mentre si continuava a svolgere il programma Shuttle-Mir, finché il 12 luglio 2000 venne lanciato il secondo modulo russo, Zvezda (Звезда, stella). L’attracco con Zarya e Unity avvenne automaticamente, e la stazione divenne così pronta ad accogliere il suo primo equipaggio di lunga permanenza, la Expedition 1. Il 2 novembre 2000 la capsula Sojuz TM-32 attraccò alla stazione, e i tre astronauti a bordo (William Shepherd, Yuri Gidzenko e Sergei K. Krikalev) entrarono nella ISS. Da allora la presenza umana a bordo della stazione non si è mai interrotta! Il 23 marzo del 2001 la Mir venne infine deorbitata, disintegrandosi nei cieli del Pacifico meridionale, la sua missione ormai conclusa.

Negli anni successivi Russia e Stati Uniti (coadiuvati da Giappone, Canada e i membri dell’Agenzia Spaziale Europea) hanno progressivamente assemblato l’intera stazione, attingendo ai progetti e alle tecnologie che sarebbero dovute essere della Mir-2 e della Freedom. Il compito è stato completato nel 2011, con l’aggiunta dell’ultimo modulo europeo, Leonardo. Dopo di allora c’è stata una sola aggiunta significativa, il modulo russo scientifico Nauka nel 2021.

Nel corso della sua vita la Stazione Spaziale Internazionale ha davvero vissuto all’altezza del suo nome, perché ad oggi sono 273 le persone ad aver visitato la ISS, provenienti da 21 paesi del mondo. Alcuni di questi erano pure dei turisti spaziali, viaggiatori paganti che hanno comunque ricevuto un addestramento comparabile a quello degli astronauti per partecipare attivamente alle attività a bordo. Gli italiani sono stati ben 5, siamo al quinto posto! I componenti sono stati costruiti un po’ in tutto il mondo (quelli europei arrivano dalla Thales Alenia di Corso Marche, a Torino), così come l’addestramento degli astronauti è un compito estremamente internazionale.

Oggi la ISS conta 16 moduli pressurizzati, per un volume totale di oltre 1000 metri cubi (pari a quello di un Boeing 747)! L’intera stazione è più grande di un campo da calcio (109 x 73 metri), ed è l’oggetto più costoso mai costruito dall’umanità, per un totale che gira intorno ai 150 miliardi di dollari. La sua massa complessiva si aggira intorno alle 420 tonnellate (non è un numero fisso perché dipende anche da materiali ed esperimenti a bordo), e i pannelli solari generano circa 90 kW di potenza. I suoi portelloni possono ospitare fino a otto navicelle in visita contemporaneamente, permettendo un rapido ciclo di rifornimenti e di alternanza degli esperimenti scientifici svolti a bordo, più di 3000 dall’inizio delle operazioni. Ci sono anche ben 20 esperimenti montati all’esterno (tra cui AMS-02).

Attualmente la Stazione Spaziale Internazionale viene servita da tre navette per il trasporto di equipaggio (la russa Sojuz e le americane Crew Dragon e Starliner) e da quattro navette per il trasporto di cargo (la russa Progress, le americane Cargo Dragon e Cygnus, e la giapponese HTV, delle quali solo la Cargo Dragon in grado di riportare a Terra del materiale scientifico).

Uno sguardo al futuro

La ISS è già andata incontro a profonde trasformazioni. Il primo grande capitolo che si è concluso è stato quello del programma Shuttle, quando nel 2011 Atlantis fu l’ultima navetta a volare, proprio verso la Stazione Spaziale Internazionale. A seguito di tale decisione gli Stati Uniti, e con loro europei, canadesi e giapponesi, si ritrovarono senza un mezzo proprio per il raggiungimento della stazione. In tal senso venne ancora più in aiuto la collaborazione internazionale, perché l’unico modo rimasto era l’indistruttibile Sojuz russa. Si aprì quindi un decennio di dipendenza completa da tale navetta, con tutti i suoi pro e contro, mentre gli USA lavoravano a un nuovo sistema di trasporto spaziale.

Le intenzioni erano quelle di rafforzare la collaborazione tra l’agenzia federale, la NASA, e le industrie private che si occupavano della costruzione delle componenti. In pratica, una progressiva privatizzazione del settore, il cui scopo inteso era liberare le mani della NASA dalle questioni relative all’orbita bassa permettendole di concentrarsi verso lo spazio profondo, con i programmi di esplorazione umana per la Luna (Artemis) e in ultimo Marte. Venne quindi finanziata la ricerca e sviluppo di svariate compagnie private, alcune delle quali ora divenute famosissime, una su tutte la Space Exploration Technologies Corporation, più nota come SpaceX.

SpaceX, Boeing, Orbital ATK (poi assorbita da Northrop Grumman), Blue Origin, hanno fatto quindi la storia dell’ultimo decennio dell’esplorazione spaziale. SpaceX è riuscita infine a sviluppare un razzo parzialmente riutilizzabile, il Falcon 9, diventato ora uno dei vettori più potenti e affidabili a nostra disposizione. Ad esso è associata la capsula Dragon, in versione equipaggio (Crew) e rifornimento (Cargo), anch’essa riutilizzabile più volte. Nel maggio del 2020 SpaceX ha dimostrato la capacità di portare astronauti in orbita, e da allora si occupa dei voli spaziali dal suolo americano verso la ISS e anche verso la semplice orbita, aprendo un nuovo filone di turismo spaziale. Qualche anno dopo anche Boeing si è assicurata una fetta di tale mercato, con la messa in funzione della sua Starliner.

Lancio della missione SpaceX Crew Dragon Demo-2 il 30 maggio 2020.
Crediti: NASA/Joel Kowsky

La collaborazione a bordo della ISS ha resistito anche al durissimo colpo inferto dall’invasione russa dell’Ucraina, a febbraio 2022. Nonostante le parole incandescenti che sono state scambiate da ambasciatori, presidenti e amministratori, la collaborazione nello spazio prosegue, più pacifica e fruttuosa che mai. In un’epoca in cui la Guerra Fredda sembra riaffacciarsi sul palco della storia, la ISS mantiene il ruolo che ha già giocato insieme alla Mir a fine ‘900. Ci sono anche nuovi attori nello spazio, paesi in fortissima e prepotente crescita come la Cina, che ha già assemblato una propria stazione spaziale modulare sul modello della Mir chiamata Tiangong, e l’India, che a breve farà partire il proprio programma di esplorazione umana dello spazio.

Nulla però è per sempre. Anche la Stazione Spaziale Internazionale incontrerà un giorno la propria fine, bruciando nell’atmosfera sopra al Pacifico meridionale, come avvenne per la Mir e per migliaia di altri satelliti prima di lei. I moduli stanno invecchiando, e l’uso continuativo dopo un quarto di secolo dalla loro produzione non li fa certo ringiovanire. Anche i finanziamenti vorrebbero spostarsi su altri settori, ed ecco quindi che sono già stati fatti piani per la conclusione della missione della ISS.

Rendering che mostra il segmento orbitale privato della Axiom Space attraccato alla ISS.
Crediti: Axiom Space, Inc, wikimedia commons***

La collaborazione Russia-USA è stata garantita, per ora, fino al 2028. In quell’anno la Russia ha intenzione di concludere la sua partecipazione, e separare la propria porzione della stazione. I moduli più anziani saranno deorbitati, mentre quelli più nuovi (come Nauka, appena arrivato nello spazio) saranno la base per una stazione spaziale modulare russa indipendente. Gli americani hanno invece dal loro canto fissato una vera e propria data di scadenza: gennaio 2031. È stato deciso che per quell’anno i moduli saranno troppo vecchi e il loro utilizzo antieconomico, e il tutto verrà quindi deorbitato come la Mir. Nel frattempo però non staranno con le mani in mano, perché c’è un’altra compagnia privata emergente, la Axiom Space, che punta a costruire la prima stazione spaziale privata entro il 2025. I moduli Axiom verrebbero inizialmente agganciati e assemblati alla ISS, e la stazione privata si separerebbe poi al momento della fine delle operazioni per quest’ultima.

Quale che sia il suo futuro, la complessità, costosità e difficoltà di un programma come quello della Stazione Spaziale Internazionale è qualcosa di mai visto nella storia dell’umanità, così come la collaborazione veramente senza frontiere che ha portato alla sua realizzazione e ne continua a garantire il funzionamento.

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