Crediti immagine: Nasa

Artemis

Il ritorno dell’umanità sulla Luna

Il 16 novembre alle ore 7:48 italiane, dopo 50 anni dall’ultima missione Apollo, è iniziato un nuovo programma di esplorazione lunare. Si chiama Artemis (Artemide), come la sorella di Apollo e dea della caccia e della Luna!

Artemis I è stata una missione dimostrativa senza equipaggio molto ambiziosa e dagli scopi molteplici. Per prima cosa, è servita per testare e certificare il nuovo megarazzo della NASA, lo Space Launch System (o SLS in breve). In secondo luogo, è stato il banco di prova definitivo per la capsula Orion e i suoi sistemi, in vista del primo utilizzo da parte di esseri umani. Infine, è una sorta di prova generale del profilo missione che caratterizzerà anche la seconda missione, Artemis II, nel 2024.

Il programma Artemis nasce dalle ceneri del programma Constellation (cancellato dall’amministrazione Obama nel 2011) e del programma Space Shuttle (conclusosi quello stesso anno). La navetta spaziale riutilizzabile, concepita negli anni ‘70 e lanciata per la prima volta nel 1981, era diventata insostenibile dal punto di vista dei costi e dei rischi per l’equipaggio e non soddisfò mai le aspettative di rapido ed economico riutilizzo immaginate dai suoi progettisti. A pesare sul programma furono soprattutto i due incidenti, accaduti al Challenger nel 1986 e al Columbia nel 2003, che costarono la vita a 14 astronauti e distrussero due dei cinque orbiter costruiti.

La fotografia storica che immortalò il momento della tragedia del Challenger, esploso in volo poco meno di un minuto dopo il decollo. Crediti immagine: Wikimedia

Il programma Constellation era invece un ambizioso programma di ritorno sulla Luna finalizzato al primo sbarco su Marte nel 2030. Il Congresso degli Stati Uniti lo ritenne troppo costoso, e infine venne abbandonato in favore di una nuova strategia: fu proprio l’amministrazione Obama nel 2011 a dare il via a un nuovo corso nella NASA: il Commercial Crew Program. In pratica gli USA decisero di finanziare compagnie private, tramite appalti e fondi a perdere, per la costruzione di nuovi lanciatori e capsule atte al trasporto umano. Nel frattempo gli astronauti americani, europei e giapponesi andavano nello spazio a bordo delle capsule Soyuz, costruite e lanciate dalla Federazione Russa. A emergere vittoriose da questa competizione furono SpaceX, (con il Falcon 9 e le capsule Dragon) e Boeing (con la capsula Starliner). Una “corsa alle armi” finalizzata anche al profitto (in senso positivo), in modo da rendere l’esplorazione umana dello spazio non più un semplice sforzo pionieristico sulle spalle dei contribuenti americani, ma una componente vera e propria dell’economia e della società. Dal 2020 gli astronauti occidentali sono tornati a volare su capsule americane!

Con le mani libere dalla gestione del traffico da e per la Stazione Spaziale Internazionale, la NASA si è potuta dedicare ai grandi progetti di questa decade: il rover Perseverance, il James Webb Space Telescope e il programma di esplorazione lunare, Artemis.

SLS – il lanciatore

Derivato in larga parte dalla tecnologia dello Space Shuttle, questo razzo è ora ufficialmente il più potente operativo. Ha una capacità di carico di ben 95 tonnellate verso un’orbita terrestre di 400 km di quota, il che lo rende un po’ inferiore allo storico Saturn V (che portava 140 tonnellate), ma di gran lunga superiore all’attuale secondo classificato, il Falcon Heavy di SpaceX (63 tonnellate, se in configurazione non riutilizzabile).

Il primo SLS della storia, lanciato lo scorso 16 novembre 2022. Crediti immagine: Wikipedia

Il corpo centrale di SLS è spinto da quattro motori RS-25, alimentati a idrogeno e ossigeno liquidi. Ad esso si affiancano due booster laterali a combustibile solido, che forniscono la gran parte della spinta alla partenza. Sono tutti componenti derivati dall’era Space Shuttle: i booster laterali sono gli stessi (allungati da 4 a 5 segmenti), i motori RS-25 erano i motori principali della navetta (che ne montava tre), e la tecnologia per la costruzione del corpo principale del razzo, con i serbatoi di ossigeno e idrogeno liquido, è quella con cui veniva realizzato il serbatoio esterno dello Shuttle. Persino la schiuma termoisolante che dà a SLS il suo bel colore arancione è la stessa! In cima al corpo centrale, o primo stadio, è posizionato un altro segmento dotato di motori e serbatoi: il secondo stadio, noto come ICPS (Interim Cryogenic Propulsion Stage), sopra al quale si trova la capsula lunare vera e propria, Orion. È l’ICPS a occuparsi di inserire la capsula nella sua traiettoria verso la Luna.

Il risultato quindi è un razzo alto 98 metri, con un diametro di 8,4 metri e una massa al lancio di oltre 2610 tonnellate, che in pratica è tutto propellente. La capsula e i suoi sistemi hanno una massa di “appena” 26 tonnellate! In futuro, nel corso dello svolgimento del programma Artemis, SLS verrà modificato e migliorato, man mano che si esauriscono le scorte di componenti “riciclate” dal programma Shuttle. Il quarto volo avverrà con un nuovo secondo stadio, più potente (Exploration Upper Stage, porterà la capacità di carico verso l’orbita bassa a 105 tonnellate), dal quinto volo si useranno motori RS-25 non riciclati ma costruiti appositamente e più potenti, e infine dal nono volo SLS userà una nuova versione dei booster laterali, portando la sua capacità a ben 130 tonnellate e superando lo storico Saturn V.

Orion – la capsula

Un nuovo programma lunare richiede una nuova capsula, e quindi la NASA ha sviluppato insieme a Lockheed Martin il “Multi-Purpose Crew Vehicle” (veicolo multi-scopo per equipaggio), chiamato più brevemente Orion, come la costellazione. È simile alla capsula Apollo, ma beneficia dei 50 anni di progresso tecnologico trascorsi nel frattempo. La capsula vera e propria (detta “modulo di comando”) in ogni caso non può volare nello spazio in solitaria, ed è quindi collegata a un cosiddetto “modulo di servizio”, che contiene i propulsori, il propellente e una serie di sistemi ausiliari.

Schema che mostra come è composto il sistema Orion, dalla capsula ai sistemi accessori. Crediti immagine: Nasa

Innanzitutto il sistema Orion è più grande e più capiente di Apollo: 5 metri di diametro e 9 metri cubi di volume abitabile contro 3,9 e 6,2, rispettivamente. Ciò le permetterà di portare sulla Luna quattro astronauti, oltre a poterne ospitare fino a sei in missioni di breve durata attorno alla Terra, mentre Apollo era limitata a un equipaggio di tre. Nonostante ciò è addirittura più leggera della navicella Apollo: “solo” 26 tonnellate di massa invece che 28.

Un’altra grande differenza da Apollo è che il modulo di servizio non è fabbricato in America, ma in Europa dall’ESA. La nostra agenzia spaziale si è vista infatti assegnare questo compito, nel contesto della sua collaborazione al programma Artemis. Lo ESM (European Service Module) viene costruito dalla Airbus nei suoi stabilimenti di Brema, in Germania.

Orion manovra nello spazio grazie a una serie di motori montati sul modulo di servizio e sulla capsula. Il propulsore principale è un AJ10, una versione aggiornata di quello che già venne utilizzato tanto dal programma Apollo quanto dallo Space Shuttle. Utilizza monometilidrazina (detta MMH) come combustibile e tetrossido di azoto come comburente. A questi si affiancano otto motori di manovra R-4D-11 più piccolini e sei sistemi di controllo assetto, tutti a monopropellente (MMH).

Artemis I – la prima missione

La prima missione Artemis è decollata dal pad di lancio 39B del Kennedy Space Center, alle ore 07:48 italiane del 16 novembre. Delle varie fasi della missione questa era una di quelle più delicate, in quanto testava per la prima volta il funzionamento del razzo SLS e la sua integrazione con la capsula Orion. A bordo uno stuolo di strumenti, sensori e manichini per raccogliere più informazioni possibili sul comportamento della navicella e su quali saranno le condizioni che gli astronauti dovranno affrontare durante le loro missioni nello spazio profondo.

La partenza del primo razzo SLS e della missione Artemis I. Crediti immagine: Wikipedia

Il lancio è andato alla perfezione, e il razzo si è comportato esattamente come atteso, premiando così l’estenuante attesa della partenza di questa missione. Il lancio è infatti stato rimandato più e più volte, a causa di tutta una serie di problemi con il lanciatore che venivano progressivamente scoperti e risolti. Questo ricorda un po’ il primo lancio dello storico Saturn V, che venne funestato anch’esso da una lunga sequela di contrattempi. Di fronte al risultato eccezionale però tutto questo è diventato secondario, e il responsabile del programma Artemis ha definito “commovente” la performance del razzo.

Dopo la separazione dal secondo stadio, Orion ha iniziato il suo lungo viaggio verso la Luna, che ha raggiunto il 21 novembre. Al momento del suo massimo avvicinamento al satellite, ad appena 130 km di quota, la capsula ha acceso i propri motori ed è entrata in orbita attorno ad esso, su una traiettoria estremamente allungata. Il 25 novembre Orion ha raggiunto una distanza di circa 70.000 km dalla Luna, e ha nuovamente acceso i propri motori per entrare nella cosiddetta “Orbita retrograda distante”, cioè un’orbita approssimativamente circolare che la capsula percorreva in direzione contraria rispetto a quella del moto lunare attorno alla Terra. Il 26 novembre la capsula è diventata l’oggetto certificato per il volo umano più distante dalla Terra della storia, a 400.171 km, record che il 28 novembre ha raggiunto i 432.000 km.

Il lato nascosto della Luna fotografato dalle videocamere montate sui pannelli solari di Orion, che hanno trasmesso in diretta per la quasi totalità della missione. Crediti immagine: Wikipedia

Il 1° dicembre è iniziato il volo di ritorno di Orion verso la Terra, con un’accensione dei propulsori che hanno portato la capsula ad avvicinarsi nuovamente alla Luna. La distanza minima è stata raggiunta il 5 dicembre, e ad appena 128 km di quota sulla superficie della Luna la capsula ha nuovamente acceso i propulsori per inserirsi nella sua traiettoria di rientro a Terra.

Una sottile falce di Terra sorge da dietro il bordo lunare durante l’ultima manovra orbitale di Orion, che ha portato la capsula a rientrare verso il nostro pianeta. Crediti immagine: Wikipedia

Orion ha infine raggiunto l’atmosfera terrestre l’11 dicembre, ha scartato il modulo di servizio e ha affrontato la prova più dura di tutte: il rientro atmosferico. La capsula ha colpito l’atmosfera terrestre a una velocità di oltre 40.000 km/h, la più elevata mai affrontata da una navicella per il trasporto umano. Lo scudo termico ha protetto la capsula dalle temperature estremamente elevate, e la manovra di frenaggio è stata infine completata dall’apertura di una serie di paracadute e infine dall’ammaraggio (splashdown) nell’Oceano Pacifico alle ore 18:40 italiane. La missione Artemis I si è quindi infine conclusa dopo circa 26 giorni con un successo completo, aprendo alle prossime fasi di questo ambizioso programma.

La capsula Orion appena ammarata nel Pacifico, al termine della sua straordinaria e fantastica missione esplorativa. Crediti immagine: LNASA/James M. Blair - https://images.nasa.gov/details-KSC-20221211-PH-JMB01-0001

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